domenica 1 agosto 2010

I giovani cuori falliscono.

"And you could have it all
My empire of dirt "
Dice così una canzone dei NIN reinterpretata in maniera magistrale dal grandissimo Johnny Cash.
Dice anche altro.
Mi ci ritrovo così tanto.
Parla di dipendenze. Di impossibilità. Di situazioni senza uscite.
Trent Reznor parlava della sua dipendenza da droga. Johnny Cash l'ha interpretata ormai al termine della sua vita.
Mi ci ritrovo, dicevo, per quel senso di inettitudine, per quello sventolare di bandiera bianca che è tacito e al contempo esplicito.
Tacito, per l'atmosfera generale.
Esplicito, per la tristezza del ritornello..."What have I become, my sweetest friend? Everyone I know goes away in the end"
E' la canzone di un rebound, dell'eterna sconfitta, del capitolare di fronte ai propri limiti.
Per me sono gli stessi di uno, due, cinque, sette, nove anni fa.
L'incapacità di farmi capire.
La tristezza della consapevolezza di un'inettitudine che per moltissimi aspetti è esclusivamente ipocondriaca.
Io sono un'inetta immaginaria.
Mi deprimo, mi sottovaluto, gioco la mia pelle a ribasso e inevitabilmente, poi, agisco. Partendo da un'errata conoscenza di me stessa.
Chi non mi conosce nel vero senso di questo termine, profondamente, non ha una buona opinione di me.
Chi mi conosce cerca di farmi capire quanto io in fondo sì, sia una persona valida, buona, interessante, che è bello tenere nella propria vita.
Dovrei riuscire a coglierlo da sola, tuttavia.
Alterno giorni in cui non penso, non sento niente, mi vedo cittadina del mondo, mi interesso a ogni cosa tranne che alla mia sfera emotiva a giorni in cui invece mi rovescio tutto addosso, in cui mi agito, strepito, ogni momento diventa un'ora, uno strazio infinito, c'è solo voglia di stare da sola a cercare di curare qualcosa per cui non ho l'antidoto.
"Sono qui e dentro me sangue impazzito che mi spinge fino a voi"
Ho sempre sognato di giungere a quella che Epicuro chiamava atarassia, un equilibrio tra gioia e dolore fatto di assenza di input emotivi, basandosi solo sulla razionalità. Concezione greca, di pancia, del resto come dice Russell nella sua Storia della filosofia occidentale, in una frase che ho appuntato perché l'ho trovata felicemente azzeccata, solo nell'antica Grecia si è riusciti ad essere intelligenti e felici, felici proprio per mezzo dell'intelligenza. Dunque non ci sorprende che Epicuro volesse escludere tutto ciò che non fosse raziocinio, perché era, capovolgendo il pensiero di Telesio, non sensu, sed ratione.
Ora, invece?
Ora, dopo che per anni ho fatto perno esclusivamente sulla mia razionalità, perché non provavo altro, non avevo mai empiricamente conosciuto altro, ora sono stata scossa in una sola soluzione da un turbinio di sentimenti, che in primis non avevo saputo interpretare correttamente, non avevo colto, non avevo ponderato l'importanza perché ero carente di quelle conoscenze aprioristiche che permettono la comprensione. Mancava un dizionario. L'ho costruito per deduzione, classico metodo scientifico. Errori su errori, da lì ho colto. Ora ho colto, ora so ciò che voglio, ora vedo la mia vita dall'alto, vedo gli ultimi anni fino allo scorso come un treno che trova il suo folle equilibrio sull'orlo del deragliamento, poi vedo l'ultimo anno. Un groviglio, un incidente, una storia sbagliata la definirebbe de Andrè. In tutta questa lordura, in tutto il cumulo di letame dove sono riuscita a crogiuolarmi in maniera indegna, bassa, squallida, sono riuscita a scorgere un fiore..."Il più bel fior ne coglie" è il motto dell'Accademia della Crusca... Casualità. Proprio come mi prodigo nello scegliere i lemmi più appropriati a esprimere le mie elucubrazioni, così ho individuato in una persona il mio fiore.
Avrei dovuto capirlo prima, certamente.
In primis avrei evitato una serie di sofferenze perfettamente immotivate a questa persona, in secundis avrei portato del rispetto alla persona che sono.
Pare che la mia discreta attitudine all'autodistruzione non abbia mancato di farsi viva in questo frangente, quel demonio che mi vive dentro, che morde, che mi ha impedito di essere felice e che nessuno mi ha mai aiutata a sconfiggere. Certo, è qualcosa che devo essere in grado di affrontare da sola, ma la mia pargoletta mano ha bisogno di essere stretta, ho bisogno di sapere che c'è qualcuno di eternamente stabile e presente al mio fianco per fare questo. Finora chi ha stretto la mia mano con la coscienza di questo grosso limite è la mia famiglia. Persone eccezionali, s'intende.
Giunta a 22 anni, tuttavia, è la mia persona quella atta a fare tutto ciò. La mia persona è la prima a volerlo fare, l'unico ostacolo è dettato dal fatto che c'è necessità anche qui di far entrare nell'ottica, di raccontare perché sono così e forse finalmente potrei capirlo anche io fino in fondo dove ho mancato, dov'è stato, dove ho sbagliato.
Non ho mai avuto la certezza di avere una persona accanto.
Mai.
In ogni momento c'era timore che essendo me stessa avrei visto allontanarsi chi mi stava vicino.
Così zitta, imbavagliata, repressa.
Eppure quando sono riuscita a mostrarmi per ciò che sono mi sono e mi hanno vista sfavillante, smeraldina, deliziosa.
Non mento quando dico che, davvero, ho bisogno solo di piccole attenzioni, ora che sto tornando indietro finalmente alla persona candida che ero, ora che di giorno in giorno squarcio questo fottuto velo di Maya che sta inficiando la mia relazione, cercando di fare più in fretta possibile per non veder andarsene la persona che amo, perché questa persona riesca a capire.
Montale se ne rese conto dopo ormai molti anni, che in fondo l'unica cosa che conta è avere una donna o un uomo che ti aspetta a casa la sera, per condividere in primis se stessi, per sperimentare l'amore incondizionato e aprioristico.

"Quando ti ho sognato eri una goccia in un oceano di gomma"

1 commento:

  1. Jilla, avrei potuto scrivere quasi tutto questo post...non riuscire ad essere se stessi, a farsi capire...il mio più grande problema :(

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